Questo brano risale a diversi anni fa e fa parte di un mio vecchio diario.
Scosto i bassi rami di un salice, oltre i quali si nasconde una segreta conca naturale, scavata nella roccia e dalla forma rotonda, levigata, morbida. L’acqua che sgorga al suo interno, limpida e gelata, brilla di riflessi verdi, per via del tenero muschio che la ricopre, e immergendovi le mani mi dona sollievo dal calore della giornata. La frescura si estende in tutto il corpo e una folata d’aria fresca mi investe il volto, liberandolo dalla malinconia e spazzando via i resti di vecchie ombre.
Senza pensare a nulla ascolto le sensazioni che l’acqua mi trasmette attraverso i palmi distesi e lascio che compia la sua antica e meravigliosa magia. I suoi influssi sottili lavano, purificano e guariscono tutto il mio Essere, in profondità, rigenerando il corpo e colmandolo di nuova energia pura, viva, vibrante.
Il mio intento profondo si intreccia alla magia del liquido cristallino e ne crea un legame di Armonia e di Amore, mentre le mie labbra sussurrano parole e suoni gentili, adatti alla natura delle acque calme, che sgorgano dalle alte sorgenti montane.
Lentamente un senso di benessere si propaga dentro di me, avvolgendomi tutta in un abbraccio fresco e amorevole, mentre la voce gorgogliante dell’acqua continua a mormorare il suo incanto.
Poso lo sguardo sulla superficie lievemente increspata.
Posso scorgere i lineamenti indistinti del mio viso che ondeggiano appena. L’acqua ne ha catturato l’essenza e ora mi parla di lei….
“L’immagine che io ti mostro è ciò che tu sei, qui e ora. Ma i tuoi occhi sono la chiave che apre a Vie sconosciute. Attraverso di essi, giù, nell’intimo segreto, si nasconde la vera realtà.
Chi sei tu? Cosa c’è oltre la tua immagine?”
Lentamente il riflesso sfuma dalla superficie e solo gli occhi rimangono impressi nell’acqua, luminosi e pieni di sogni nascosti. In essi leggo e percepisco l’eco lontana di mondi dimenticati, attraversati da nebbie rosate e sparsi di verdi colline coperte di boschi, in cui si possono udire i canti delle fate e delle altre creature della Grande Madre. Qui gli animali non hanno paura di avvicinarsi e le grandi farfalle si posano maestose sulle dita protese ad accoglierle; crescono erbe dai magici poteri e la Natura comunica con coloro che la sanno ascoltare attraverso il movimento delle nuvole e dei venti, la pioggia e le tempeste, il canto delle foglie e il tremore della terra, il sussurro notturno e la voce delle maree. Vi sono templi naturali, illuminati da un sacro fuoco che crepita perenne, e cerchi di betulle abitati da luminose Essenze colorate, simili alle lucciole, che donano Fortuna a coloro che Amano e le trattano con rispetto. Tutto ciò che minaccia il luogo sacro è abilmente allontanato, anche a costo di perdere la Vita, e la Morte è accolta come un importante passaggio trasformativo, che libera dal corpo stanco e insegna l’eterno ciclo della Ruota d’Argento.
Tra le fresche ombre degli alberi secolari, che crescono nel luogo magico, riesco a scorgere gli stessi occhi che si specchiano nella conca d’acqua. Lasciano trasparire una profonda saggezza, una conoscenza che esiste solamente laddove la Grande Madre si è mostrata in tutta la Sua grandezza, e racchiudono ogni piccola parte di quel mondo intriso di Armonia. In essi vi è la realizzazione della mia Essenza divina. Il traguardo che di vita in vita si avvicina sempre di più, e al quale io rivolgo il mio desiderio, ora come sempre.
“Il tuo intento ti condurrà nel luogo che la tua Anima desidera, perché suo specchio e sua espressione. Ella è naturalmente attratta da ciò che le somiglia e gli indizi che troverai saranno piccoli assaggi della magia che un giorno sarà rivelata.
Le sue forme sono i sogni partoriti dal tuo ventre. La tua Gioia è il frutto nascosto che cresce sui bassi rami dei meli. Più la assaggerai, più Ella ti nutrirà.”
L’acqua gorgoglia le sue parole incantate lasciandole fluire languidamente nelle profondità di me stessa, e di nuovo mi chiede chi sono…
“Sono colei che cerca la Fonte. Sono la scintilla che cerca il suo Fuoco. Sono il raggio d’argento che cerca la Luna. Sono la figlia che cerca la Madre. Sono la Fanciulla che cerca se stessa nel centro radioso del bosco segreto. L’istante in cui ritroverò tutto questo nel mio intimo profondo sarò l’Essere completo, e conoscerò la Verità.”
La consapevolezza di un istante lascia il suo dono prezioso e custodendolo nel cuore ringrazio l’acqua per la sua magia.
Sollevo lo sguardo al cielo e riesco a scorgere, al di sopra del fogliame scurito dalla sera, lo spicchio di Luna. Simile ad una culla luminosa, sembra che dondoli dolcemente lo spirito delle sue creature, mentre i loro corpi dormono profondamente sulla Terra.
Attende che i loro veri occhi si aprano e riescano a vederla.
Allora più nulla li separerà da Lei.
Testo di Viola di Nebbia, ogni riproduzione è vietata senza il permesso dell’autrice e senza citare la fonte.
lunedì 30 settembre 2013
domenica 29 settembre 2013
La Tredicesima Luna
La Dodicesima Luna si sta oscurando, procede svelta verso il termine del suo armonioso ciclo, e presto sarà sostituita da una nuova Luna, rara e preziosa quanto magica e potente: la Tredicesima Luna.
Questa Luna si manifesta raramente, eppure quando compare all’interno del ciclo annuale, la magia che porta con sé è grande.
Chi veglia durante la Tredicesima Luna? Chi Fila i suoi raggi d’argento?
Nella tradizione fiabesca colei che magicamente la incarna è misteriosa Tredicesima Fata di Rosaspina.
La Fata che non viene mai invitata alle feste e ai banchetti. La Fata vestita di nero. La Fata Segreta, la Fata Oscura, la Fata nascosta, sconosciuta, misteriosa, spesso invisibile eppure sempre presente.
La Fata della Notte, la Fata Velata di Nebbia e di Buio, la Fata Filatrice.
La Fata che, quando compare, porta alla Morte colei che da lei è stata prescelta, perché è la Fata che insegna i misteri del sacro Filare, che offre il Fuso e conduce ad un’Iniziazione che passa attraverso la Morte.
Lei è la Fata della Morte, e la Fata della più lucente Rinascita.
Come lei, la Tredicesima Luna porterà un nuovo giro della grande ruota, e condurrà tra i mondi, in modo più intenso di quanto non accada al termine di ogni ciclo.
E l’oscurità da cui nasce porterà all’abbagliante risplendere della sua luce.
I suoi influssi saranno profondi e potenti, e durante il suo ciclico mutare potremmo imparare molte cose.
Porterà la Morte in molte sue forme sottili e interiori, e porterà ad altrettanti Risvegli nella pienezza della sua comprensione.
Questa Luna si manifesta raramente, eppure quando compare all’interno del ciclo annuale, la magia che porta con sé è grande.
Chi veglia durante la Tredicesima Luna? Chi Fila i suoi raggi d’argento?
Nella tradizione fiabesca colei che magicamente la incarna è misteriosa Tredicesima Fata di Rosaspina.
La Fata che non viene mai invitata alle feste e ai banchetti. La Fata vestita di nero. La Fata Segreta, la Fata Oscura, la Fata nascosta, sconosciuta, misteriosa, spesso invisibile eppure sempre presente.
La Fata della Notte, la Fata Velata di Nebbia e di Buio, la Fata Filatrice.
La Fata che, quando compare, porta alla Morte colei che da lei è stata prescelta, perché è la Fata che insegna i misteri del sacro Filare, che offre il Fuso e conduce ad un’Iniziazione che passa attraverso la Morte.
Lei è la Fata della Morte, e la Fata della più lucente Rinascita.
Come lei, la Tredicesima Luna porterà un nuovo giro della grande ruota, e condurrà tra i mondi, in modo più intenso di quanto non accada al termine di ogni ciclo.
E l’oscurità da cui nasce porterà all’abbagliante risplendere della sua luce.
I suoi influssi saranno profondi e potenti, e durante il suo ciclico mutare potremmo imparare molte cose.
Porterà la Morte in molte sue forme sottili e interiori, e porterà ad altrettanti Risvegli nella pienezza della sua comprensione.
Siamo pronte ad accostarci al suo arcolaio, e a toccare, con un solo dito, il suo Fuso pungente?
Per onorarla, occorre forse offrire la propria mano, aprendosi a tutto ciò che lei vorrà mostrare, svelare, donare. Senza temere la Morte nelle sue simboliche forme, ma abbracciandola come generosa maestra.
Accogliere il Cambiamento, seguire l’inarrestabile fluire, lasciarsi condurre ovunque lei voglia,
e abbandonarsi fra le sue braccia, come fanciulle che con passo sicuro e piene di fiducia vanno incontro al loro Destino.
Il Destino che una Tredicesima Fata predisse il giorno della loro Nascita.
lunedì 16 settembre 2013
Tempo d'Autunno...
Arriva l’autunno…. il suo profumo è nell’aria, e la sua presenza si percepisce nell’ingiallirsi delle foglie, nel maturare dell’ultimo grande raccolto, nei primi brividi di freddo, nella coperta pesante sotto la quale scaldarsi e addormentarsi piene di sogni, di tepore e delle fusa dei gatti…
Arriva l’autunno, e con esso giunge l’istinto di rintanarsi, coprirsi, nascondersi, cercarsi nelle profondità di noi stesse, allontanarsi dal mondo comune e rifugiarsi nell’incantato mondo interiore… si accende il fuoco, si scalda una teiera di tè speziato, ci si avvolge nel maglione preferito – anche se ormai consumato, con i fili tirati e i colori sbiaditi – e nella calda e dolce luce delle candele.
Arriva l’autunno, e le porte del Viaggio si aprono… giunge il Tempo del Sogno, calano le Nebbie che nascondono i reami segreti oltre il loro velo impenetrabile, e arriva implacabile il momento di lasciar andare il vecchio, preparandosi ad accogliere il nuovo…
Non subito però… questo è il tempo del Riposo e del Sonno, è il tempo del Passaggio, del Cambiamento… della prima vera Discesa in luoghi sconosciuti, percorsi eppure sempre ignoti.
In questo tempo tutto Cambia, tutto Muta, tutto può apparire diverso da com’è in verità, e la verità stessa si rivela oltre l’apparenza.
Quest’anno sento solo il bisogno di chiudermi al mondo. Di ascoltare, osservare, rimettere in ordine i pensieri, di trattenere, ricevere, sentire… e ritrovare. Ho alcune piccole ferite da curare nel silenzio e nella solitudine.
Sento il bisogno di non esporre nulla, di non dare, di non mostrare.
Riposo e Sogno… Tepore, luci soffuse, una tana, calda e tenuamente illuminata dal fuoco… dalla cui soglia osservare le foglie che cadono, l’oro e il rosso del crepuscolo, la falce di Luna.
Solo questo, per guarire qualche malinconia e ritrovare quella presenza, quel centro pulsante di vita, armonia e gioia, che è nascosto nel punto più profondo di se stesse… e che se ritrovato può allontanare qualsiasi pensiero, e chiudere gli occhi al vuoto per riaprirli sulla dolce armonia del cuore.
Mi sento una foglia d’autunno, che staccata dal suo ramo cade leggera, ondeggiando nell’aria fresca, e viene accolta dall’amorevole abbraccio della madre terra, o un germoglio delicato, che decide di non emergere per rimanere nascosto nelle profondità del suolo. Protetto dall’ombra e dal silenzio.
Arriva l’autunno, e con esso giunge l’istinto di rintanarsi, coprirsi, nascondersi, cercarsi nelle profondità di noi stesse, allontanarsi dal mondo comune e rifugiarsi nell’incantato mondo interiore… si accende il fuoco, si scalda una teiera di tè speziato, ci si avvolge nel maglione preferito – anche se ormai consumato, con i fili tirati e i colori sbiaditi – e nella calda e dolce luce delle candele.
Arriva l’autunno, e le porte del Viaggio si aprono… giunge il Tempo del Sogno, calano le Nebbie che nascondono i reami segreti oltre il loro velo impenetrabile, e arriva implacabile il momento di lasciar andare il vecchio, preparandosi ad accogliere il nuovo…
Non subito però… questo è il tempo del Riposo e del Sonno, è il tempo del Passaggio, del Cambiamento… della prima vera Discesa in luoghi sconosciuti, percorsi eppure sempre ignoti.
In questo tempo tutto Cambia, tutto Muta, tutto può apparire diverso da com’è in verità, e la verità stessa si rivela oltre l’apparenza.
Quest’anno sento solo il bisogno di chiudermi al mondo. Di ascoltare, osservare, rimettere in ordine i pensieri, di trattenere, ricevere, sentire… e ritrovare. Ho alcune piccole ferite da curare nel silenzio e nella solitudine.
Sento il bisogno di non esporre nulla, di non dare, di non mostrare.
Riposo e Sogno… Tepore, luci soffuse, una tana, calda e tenuamente illuminata dal fuoco… dalla cui soglia osservare le foglie che cadono, l’oro e il rosso del crepuscolo, la falce di Luna.
Solo questo, per guarire qualche malinconia e ritrovare quella presenza, quel centro pulsante di vita, armonia e gioia, che è nascosto nel punto più profondo di se stesse… e che se ritrovato può allontanare qualsiasi pensiero, e chiudere gli occhi al vuoto per riaprirli sulla dolce armonia del cuore.
Mi sento una foglia d’autunno, che staccata dal suo ramo cade leggera, ondeggiando nell’aria fresca, e viene accolta dall’amorevole abbraccio della madre terra, o un germoglio delicato, che decide di non emergere per rimanere nascosto nelle profondità del suolo. Protetto dall’ombra e dal silenzio.
venerdì 17 maggio 2013
Il nuovo Tempo
Fino a quel giorno avevamo vissuto in pace. Noi donne, sorelle di sangue e di spirito.
E avevano vissuto in pace i nostri uomini, legati a noi da vincoli di parentela e di amore, eppure liberi, così come libere eravamo noi, che con cura e dedizione mantenevamo l’armonia e l’equilibrio nei nostri clan.
Fino a quel giorno, le ore, i giorni, gli interi cicli stagionali, erano trascorsi nella gioia e nella condivisione. I nostri uomini passavano molto tempo in mare, nelle lunghe imbarcazioni a forma di mezzaluna. Pescavano per noi, e noi coltivavamo la madre terra con i semi che Lei ci aveva donato all’inizio dei tempi, quando in forma di Donna Antica era giunta dalle acque salmastre con le mani colme di piccoli granelli scuri.
“Figlie mie, donate alla Terra questa sacra semenza, dissetatela con la sacra acqua e lasciate che il sacro Sole la scaldi, e che la sacra Luna, vostra Madre e Sorella, regoli il suo germogliare.
Da questi sacri grani verrà il vostro nutrimento.”
Così, avevamo fatto ciò che la Donna Antica aveva detto, e in pochi cicli lunari le foglie verdi si erano innalzate dalla terra, e frutti, verdura, grano ed erbe mediche erano maturate al Sole e alla Luna.
Fino a quel giorno avevamo svolto i nostri rituali segreti nelle capanne di terra e acqua. Avevamo acceso i fuochi, danzato nude sotto la luna, ci eravamo bagnate nel mare, recandogli Doni per ciò che lui donava a noi. Avevamo celebrato il sangue e la nascita, l’amore e la morte. Avevamo cantato per la Luna, osservato il cammino delle stelle. Avevamo misurato e innalzato pietre, avevamo cotto il pane e preparato sacchetti di medicina.
Avevamo amato i nostri uomini, che ci amavano e ci accarezzavano la pelle con baci e fiori. Avevamo amato i nostri figli che come fiori erano sbocciati dal nostro grembo fecondo, pieno come la Luna, nostra Madre e Sorella.
Fino a quel giorno avevamo gioito. Gioito pienamente della Vita.
E poi giunsero loro.
Le Anziane lo avevano predetto. Un’ombra scura aveva attraversato il loro sguardo, la loro fronte si era corrugata e il loro cuore aveva tremato. Leggendo nel fumo e nelle braci, le Anziane avevano capito che il mondo sarebbe cambiato, e che il Tempo era giunto.
Quel giorno li vedemmo apparire sulla linea luminosa che divide l’oceano dal cielo. Cupi e neri come demoni terribili, spegnevano con il loro avvicinarsi la luce che fino ad allora aveva vegliato sulle nostre fronti scurite dal Sole.
Parevano lontani, eppure per quanto tempo ci misero a raggiungere la riva, a noi non sembrò che un istante.
Ormeggiarono quelle navi grandi e spaventose e si buttarono sulle sacre spiagge, urlando e ridendo in un modo che ci sembrò subito diverso dal modo di urlare e ridere che avevamo noi. Non c’era luce nelle loro risa, ma solo foga e volgarità. Non c’era grazia selvaggia nelle loro urla, ma solo orrore e ferocia.
I primi giorni che trascorsero sull’Isola rimasero vicini alle loro imbarcazioni, e qualcuna di noi, spinta da una vana, quanto bramosa, speranza, disse che non ne avremmo avuto male, che presto sarebbero ripartiti e che tutto sarebbe tornato alla normalità. Che, forse, le Anziane avevano sbagliato.
Ma nemmeno loro credevano alle loro parole. Le Anziane non sbagliavano mai.
Così il Tempo giunse. E noi conoscemmo ciò che non avevamo mai conosciuto.
La nostra terra cominciò ad essere sfruttata, i nostri corpi di Donne belle e sacre vennero profanati, i nostri uomini vennero costretti a lavorare per i loro padroni. Loro, che non avevano mai saputo cosa fosse un padrone.
Si diffusero malattie delle quali non avevamo mai conosciuto l’esistenza, e per le quali non avevamo alcuna medicina. L’ombra viveva davanti al nostro sguardo, e i nostri occhi conobbero la rovina e la disperazione.
Peggio delle malattie che quegli uomini riversarono su di noi e sulla nostra sacra terra, vi era un sentimento oscuro e furente che cresceva nei nostri cuori, e che nessuna di noi aveva mai conosciuto. Un sentimento che ci scavava dentro e che non sapevamo come guarire.
Così alcune di noi parlarono alle Anziane e innalzarono preghiere alla Donna Antica per chiederle aiuto.
“Anziane Madri, diteci, cos’è questa tenebra oscura che ci cresce dentro? Cosa ci divora nel cuore e ci rende cupe e accigliate?
Abbiamo udito gli invasori nominare l’odio. E’ forse questo il nome con cui viene chiamata la tenebra nel loro mondo di distruzione?
Eppure, come possiamo non nutrire la tenebra davanti ai loro sacrilegi?
Come possiamo non cedere alla sua oscurità quando penetrano i nostri corpi con furia e violenza?
Come possiamo non desiderarla quando penetrano i corpi delle nostre figlie e delle nostre madri,
quando distruggono i nostri altari e bruciano le nostre case?
Come possiamo non assecondarla quando rubano i nostri uomini e li portano a lavorare e morire nei buchi che loro hanno scavato nella sacra terra, per rubarle i suoi tesori?”
Le Anziane stavano sedute in cerchio, nel silenzio. Era la prima volta che non ci sorridevano rassicuranti, donandoci con amore la risposta alle nostre domande.
Ci guardarono… ma rimasero in silenzio.
Non posso continuare a scrivere, perché anche io sto attendendo la loro risposta.
Una risposta che non conosco, e che se loro hanno ricevuto, io non ho udito.
Ma posso sperare che la Donna Antica abbia parlato. E che parli anche a noi, che aspettiamo di udire la sua Voce.
Spero di non aver mancato di rispetto a nessuna, scrivendo questo breve testo.
Non è mia intenzione rubare una tradizione che non mi appartiene, e se ho composto questo testo è solo perché ho voluto trascrivere, parola per parola, il racconto che la mia mente mi ha suggerito.
Forse, dopotutto, questa tradizione appartiene a tutte le Donne, in tutto il mondo. Senza alcuna eccezione.
Non voglio meriti non miei. Il testo è interamente ispirato da “Le Figlie della Donna di Rame” di Anne Cameron e dalle ricerche di Heide Goettner-Abendroth inerenti in particolare alle invasioni dei bianchi sulle terre lontane dell’America e del Canada.
Ogni Donna dallo spirito antico è uguale a quelle terre, ovunque lei sia, ovunque sia nata o nascerà.
Noi tutte siamo terra devastata che attende una Risposta e la Guarigione, che solo dentro di noi possiamo coltivare.
Se l’ispirazione mi suggerirà una risposta, proverò a scriverla nel momento in cui verrà.
Sino a quel momento, ognuna di noi può provare a chiedere aiuto alla Donna Antica e alle Antenate, cercando la loro risposta nel fremito delle foglie, nell’ululare dei venti, nella luce della Luna, nostra Madre e Sorella.
***
Questo brano mi appartiene, ma appartiene ad ogni donna che lo senta suo. Se volete condividerlo, fatelo, ma scrivete il mio nome, perchè se è vero che ogni testo appartiene a chi l’ha partorito, allora è giusto che in tal modo sia ricordato.
E avevano vissuto in pace i nostri uomini, legati a noi da vincoli di parentela e di amore, eppure liberi, così come libere eravamo noi, che con cura e dedizione mantenevamo l’armonia e l’equilibrio nei nostri clan.
Fino a quel giorno, le ore, i giorni, gli interi cicli stagionali, erano trascorsi nella gioia e nella condivisione. I nostri uomini passavano molto tempo in mare, nelle lunghe imbarcazioni a forma di mezzaluna. Pescavano per noi, e noi coltivavamo la madre terra con i semi che Lei ci aveva donato all’inizio dei tempi, quando in forma di Donna Antica era giunta dalle acque salmastre con le mani colme di piccoli granelli scuri.
“Figlie mie, donate alla Terra questa sacra semenza, dissetatela con la sacra acqua e lasciate che il sacro Sole la scaldi, e che la sacra Luna, vostra Madre e Sorella, regoli il suo germogliare.
Da questi sacri grani verrà il vostro nutrimento.”
Così, avevamo fatto ciò che la Donna Antica aveva detto, e in pochi cicli lunari le foglie verdi si erano innalzate dalla terra, e frutti, verdura, grano ed erbe mediche erano maturate al Sole e alla Luna.
Fino a quel giorno avevamo svolto i nostri rituali segreti nelle capanne di terra e acqua. Avevamo acceso i fuochi, danzato nude sotto la luna, ci eravamo bagnate nel mare, recandogli Doni per ciò che lui donava a noi. Avevamo celebrato il sangue e la nascita, l’amore e la morte. Avevamo cantato per la Luna, osservato il cammino delle stelle. Avevamo misurato e innalzato pietre, avevamo cotto il pane e preparato sacchetti di medicina.
Avevamo amato i nostri uomini, che ci amavano e ci accarezzavano la pelle con baci e fiori. Avevamo amato i nostri figli che come fiori erano sbocciati dal nostro grembo fecondo, pieno come la Luna, nostra Madre e Sorella.
Fino a quel giorno avevamo gioito. Gioito pienamente della Vita.
E poi giunsero loro.
Le Anziane lo avevano predetto. Un’ombra scura aveva attraversato il loro sguardo, la loro fronte si era corrugata e il loro cuore aveva tremato. Leggendo nel fumo e nelle braci, le Anziane avevano capito che il mondo sarebbe cambiato, e che il Tempo era giunto.
Quel giorno li vedemmo apparire sulla linea luminosa che divide l’oceano dal cielo. Cupi e neri come demoni terribili, spegnevano con il loro avvicinarsi la luce che fino ad allora aveva vegliato sulle nostre fronti scurite dal Sole.
Parevano lontani, eppure per quanto tempo ci misero a raggiungere la riva, a noi non sembrò che un istante.
Ormeggiarono quelle navi grandi e spaventose e si buttarono sulle sacre spiagge, urlando e ridendo in un modo che ci sembrò subito diverso dal modo di urlare e ridere che avevamo noi. Non c’era luce nelle loro risa, ma solo foga e volgarità. Non c’era grazia selvaggia nelle loro urla, ma solo orrore e ferocia.
I primi giorni che trascorsero sull’Isola rimasero vicini alle loro imbarcazioni, e qualcuna di noi, spinta da una vana, quanto bramosa, speranza, disse che non ne avremmo avuto male, che presto sarebbero ripartiti e che tutto sarebbe tornato alla normalità. Che, forse, le Anziane avevano sbagliato.
Ma nemmeno loro credevano alle loro parole. Le Anziane non sbagliavano mai.
Così il Tempo giunse. E noi conoscemmo ciò che non avevamo mai conosciuto.
La nostra terra cominciò ad essere sfruttata, i nostri corpi di Donne belle e sacre vennero profanati, i nostri uomini vennero costretti a lavorare per i loro padroni. Loro, che non avevano mai saputo cosa fosse un padrone.
Si diffusero malattie delle quali non avevamo mai conosciuto l’esistenza, e per le quali non avevamo alcuna medicina. L’ombra viveva davanti al nostro sguardo, e i nostri occhi conobbero la rovina e la disperazione.
Peggio delle malattie che quegli uomini riversarono su di noi e sulla nostra sacra terra, vi era un sentimento oscuro e furente che cresceva nei nostri cuori, e che nessuna di noi aveva mai conosciuto. Un sentimento che ci scavava dentro e che non sapevamo come guarire.
Così alcune di noi parlarono alle Anziane e innalzarono preghiere alla Donna Antica per chiederle aiuto.
“Anziane Madri, diteci, cos’è questa tenebra oscura che ci cresce dentro? Cosa ci divora nel cuore e ci rende cupe e accigliate?
Abbiamo udito gli invasori nominare l’odio. E’ forse questo il nome con cui viene chiamata la tenebra nel loro mondo di distruzione?
Eppure, come possiamo non nutrire la tenebra davanti ai loro sacrilegi?
Come possiamo non cedere alla sua oscurità quando penetrano i nostri corpi con furia e violenza?
Come possiamo non desiderarla quando penetrano i corpi delle nostre figlie e delle nostre madri,
quando distruggono i nostri altari e bruciano le nostre case?
Come possiamo non assecondarla quando rubano i nostri uomini e li portano a lavorare e morire nei buchi che loro hanno scavato nella sacra terra, per rubarle i suoi tesori?”
Le Anziane stavano sedute in cerchio, nel silenzio. Era la prima volta che non ci sorridevano rassicuranti, donandoci con amore la risposta alle nostre domande.
Ci guardarono… ma rimasero in silenzio.
Non posso continuare a scrivere, perché anche io sto attendendo la loro risposta.
Una risposta che non conosco, e che se loro hanno ricevuto, io non ho udito.
Ma posso sperare che la Donna Antica abbia parlato. E che parli anche a noi, che aspettiamo di udire la sua Voce.
Spero di non aver mancato di rispetto a nessuna, scrivendo questo breve testo.
Non è mia intenzione rubare una tradizione che non mi appartiene, e se ho composto questo testo è solo perché ho voluto trascrivere, parola per parola, il racconto che la mia mente mi ha suggerito.
Forse, dopotutto, questa tradizione appartiene a tutte le Donne, in tutto il mondo. Senza alcuna eccezione.
Non voglio meriti non miei. Il testo è interamente ispirato da “Le Figlie della Donna di Rame” di Anne Cameron e dalle ricerche di Heide Goettner-Abendroth inerenti in particolare alle invasioni dei bianchi sulle terre lontane dell’America e del Canada.
Ogni Donna dallo spirito antico è uguale a quelle terre, ovunque lei sia, ovunque sia nata o nascerà.
Noi tutte siamo terra devastata che attende una Risposta e la Guarigione, che solo dentro di noi possiamo coltivare.
Se l’ispirazione mi suggerirà una risposta, proverò a scriverla nel momento in cui verrà.
Sino a quel momento, ognuna di noi può provare a chiedere aiuto alla Donna Antica e alle Antenate, cercando la loro risposta nel fremito delle foglie, nell’ululare dei venti, nella luce della Luna, nostra Madre e Sorella.
***
Questo brano mi appartiene, ma appartiene ad ogni donna che lo senta suo. Se volete condividerlo, fatelo, ma scrivete il mio nome, perchè se è vero che ogni testo appartiene a chi l’ha partorito, allora è giusto che in tal modo sia ricordato.
lunedì 15 aprile 2013
Il Riflesso perduto
Spesso mi ritrovo a cercare il mio riflesso dove prima lo trovavo sempre… mi bastava aprire un libro, leggere due righe, e ritrovarmi, piena di nuova forza, di entusiasmo, di gioia ed equilibrio interiore. Ma ora lo Specchio nel quale mi riflettevo e nel quale ritrovavo il mio vero volto, il mio vero cuore, la mia vera anima, è offuscato, opaco… a volte è completamente avvolto da un pesante velo, il velo che cela il sacro agli occhi del profano, il velo che richiede d’essere sollevato da chi desidera più di ogni altra cosa guardarvi oltre, per ritrovare quello Specchio… e riflettersi.
Mi sento come l’antica Amaterasu, chiusa nella sua grotta buia, ma per me nessuna danza richiama il riso delle mille moltitudini di Déi, che incuriosisce la Dea e la spinge ad affacciarsi dall’antro, per me nessuno Specchio attende al suo ingresso, per riflettere la luce del sole di cui è fatta Lei, perché finalmente si riconosca e riporti la Luce nel mondo…
Sono solo una donna, con molti difetti, e di sicuro non sono degna di tanta Fortuna…
O invece forse sì… forse ognuna che Cerca e si merita un po’ di Fortuna, è attesa dallo Specchio sulla soglia della grotta…
Io ho bisogno di crederlo, per ritrovare una scintilla di quella speranza che anni fa riempiva la mia vita e rendeva i miei occhi pieni della visione del magico, per cui tutto era magico intorno a me, tutto era divino, e io partecipavo di quella magia e di quella gioia che tali visioni profonde mi donavano.
Non è così buia la mia grotta, direi che è immersa in una tiepida penombra, e ci sto ragionevolmente bene… molte donne ci vivono tutta la vita, provando forse un debole senso di mancanza per cui anche le fortune più grandi non le soddisfano mai completamente…
Ma chi ha provato, almeno in piccola parte, a vivere completa, non potrebbe mai e poi mai accontentarsi di una vita simile… E l’unica cosa che sento è che mi manca lo Specchio, perché è talmente essenziale alla mia anima che senza di esso non posso vivere veramente.
Qualche volta un istante di limpidezza e luminosità rianima lo Specchio, e riesco per pochi momenti ad abbeverarmi in quel raggio di luce, ma ci vorrà ancora molto tempo prima che la limpidezza e la luminosità permarranno stabili, e la sorgente a cui mi abbeveravo sempre torni a sgorgare libera e copiosa.
Per adesso vivo nella penombra. E il ricordo dell’entusiasmo che mi animava prima, e della visione del magico che mi accompagnava sempre, mi si scioglie nel cuore e mi riempie di una nostalgia che non è più solo quella del tempo antico, ma anche quella del mio tempo antico.
Un tempo che non posso far altro che continuare a cercare, sperando di trovare la chiave per accedervi di nuovo, la chiave per aprire la porta della grotta, sollevare il velo dallo Specchio, e finalmente, finalmente riflettermi di nuovo, lasciandomi invadere dall’onda infinita e travolgente dell’acqua della vita, che disseterà la mia anima come sacro nettare fatto di luce e di acqua, di colori e di gioia. Ancora una volta.
Desidero davvero, più di ogni altra cosa, ritrovare quel riflesso, e non lasciarlo andare mai più… mai più, per sempre.
Mi sento come l’antica Amaterasu, chiusa nella sua grotta buia, ma per me nessuna danza richiama il riso delle mille moltitudini di Déi, che incuriosisce la Dea e la spinge ad affacciarsi dall’antro, per me nessuno Specchio attende al suo ingresso, per riflettere la luce del sole di cui è fatta Lei, perché finalmente si riconosca e riporti la Luce nel mondo…
Sono solo una donna, con molti difetti, e di sicuro non sono degna di tanta Fortuna…
O invece forse sì… forse ognuna che Cerca e si merita un po’ di Fortuna, è attesa dallo Specchio sulla soglia della grotta…
Io ho bisogno di crederlo, per ritrovare una scintilla di quella speranza che anni fa riempiva la mia vita e rendeva i miei occhi pieni della visione del magico, per cui tutto era magico intorno a me, tutto era divino, e io partecipavo di quella magia e di quella gioia che tali visioni profonde mi donavano.
Non è così buia la mia grotta, direi che è immersa in una tiepida penombra, e ci sto ragionevolmente bene… molte donne ci vivono tutta la vita, provando forse un debole senso di mancanza per cui anche le fortune più grandi non le soddisfano mai completamente…
Ma chi ha provato, almeno in piccola parte, a vivere completa, non potrebbe mai e poi mai accontentarsi di una vita simile… E l’unica cosa che sento è che mi manca lo Specchio, perché è talmente essenziale alla mia anima che senza di esso non posso vivere veramente.
Qualche volta un istante di limpidezza e luminosità rianima lo Specchio, e riesco per pochi momenti ad abbeverarmi in quel raggio di luce, ma ci vorrà ancora molto tempo prima che la limpidezza e la luminosità permarranno stabili, e la sorgente a cui mi abbeveravo sempre torni a sgorgare libera e copiosa.
Per adesso vivo nella penombra. E il ricordo dell’entusiasmo che mi animava prima, e della visione del magico che mi accompagnava sempre, mi si scioglie nel cuore e mi riempie di una nostalgia che non è più solo quella del tempo antico, ma anche quella del mio tempo antico.
Un tempo che non posso far altro che continuare a cercare, sperando di trovare la chiave per accedervi di nuovo, la chiave per aprire la porta della grotta, sollevare il velo dallo Specchio, e finalmente, finalmente riflettermi di nuovo, lasciandomi invadere dall’onda infinita e travolgente dell’acqua della vita, che disseterà la mia anima come sacro nettare fatto di luce e di acqua, di colori e di gioia. Ancora una volta.
Desidero davvero, più di ogni altra cosa, ritrovare quel riflesso, e non lasciarlo andare mai più… mai più, per sempre.
mercoledì 3 aprile 2013
Coralità
“Unico e comune è il mondo per coloro che son desti, mentre nel sonno ciascuno si rinchiude in un mondo suo proprio particolare.” (Eraclito)
E si potrebbe aggiungere: “Unica e comune è la verità per coloro che son desti, mentre nel sonno ciascuno si rinchiude in una verità sua propria particolare.”
Ci fu un tempo in cui il mondo e la verità erano gli stessi per tutte… il Tempo delle Antenate, dell’Oro e dell’Argento… un Tempo in cui nessuna cercava di adattare la verità al proprio modo d’essere, nessuna pretendeva che la verità fosse la sua propria, ma ognuna conosceva la verità nel proprio Essere, sapeva che era la stessa di tutte le Sorelle, la proteggeva e la tramandava, così come andava fatto.
Ora quel tempo è finito, e ognuna cerca la sua verità, perdendosi nel labirinto dei personalismi, e proclamando l’unicità del singolo invece di scavare nella terra e nel cammino delle Antenate per cercare la verità antica che tutte univa, e che tutte può ancora unire.
Ma verrà il giorno in cui ognuna si renderà conto che la verità è uguale per tutte, da sempre e per sempre, e a prescindere dal modo in cui perverrà a questa consapevolezza, ognuna Saprà.
In quel giorno lontano, tutte ci ritroveremo e ci riuniremo in perfetta coralità e sorellanza.
In quel giorno lontano tutte Condivideremo la stessa Verità, e ovunque siamo, vicine o lontane, o in qualunque tempo siamo nate e nasceremo, ritroveremo quel magico Filo dorato che riunisce tutte le Donne sapienti del passato, del presente e del futuro.
Da sempre e per sempre.
venerdì 22 marzo 2013
Il Cacciatore e la Preda
“Il sole tramonterà fra poco” disse Iris, osservando gli ultimi raggi che calavano oltre Monte Antico e riparandosi gli occhi dall’intensa luce dorata, “prepariamoci a rientrare, sarà una notte fredda e dobbiamo ancora accendere il fuoco.”
Catrina si sollevò dall’erba, stiracchiandosi come una gattina con provocante e giocosa sensualità.
“Hai ragione…” sorrise maliziosa, “ho proprio voglia di sdraiarmi davanti al caminetto e di farmi accarezzare la pelle nuda dal languido calore delle fiamme… a volte riesce ad insinuarsi in posti davvero impensabili…”. Guardò intensamente Aurora e subito scoppiò a ridere davanti allo sguardo un po’ imbarazzato della fanciulla, che percependo l’intensa carica erotica di quella donna un po’ sfacciata, aveva sentito un’ondata di calore salire dalle sue parti intime, ed era visibilmente arrossita.
Catrina le passò accanto accarezzandole i capelli, e si diresse ancheggiando verso la porta della Casa delle Donne.
Iris riuscì a stento a trattenere il riso, e visto che voleva evitare di mettere ancora più in imbarazzo la timida Aurora, sorrise e, con fare sconsolato, scosse la testa. “Non farci caso… lei… è fatta così.” Poi si alzò e porse la mano ad Aurora, che l’afferrò e si alzò a sua volta.
I bassi raggi di sole avevano avvolto tutta la radura verde, e i botton d’oro sembravano brillare come piccole lampade fatate, pronte ad accogliere sogni e desideri notturni, e a restituirli alle prime luci del mattino.
Mentre le due ragazze si avvicinavano alla Casa, la bella Elsbet le raggiunse. I suoi capelli neri si agitavano nella brezza fresca e su un braccio reggeva un cesto pieno di bacche ed erbe raccolte nel bosco.
“Vuoi assaggiare?”, chiese ad Aurora, “sono i doni del bosco, e probabilmente non hai mai mangiato frutti così dolci!”. Sorrise, e la fanciulla vide riflettersi in quel caldo sorriso tutto l’amore e la luminosità del sole.
Mentre le tre donne, parlando amabilmente, stavano per rientrare, d’un tratto Elsbet si fermò e con uno scatto improvviso si voltò indietro. Il suo sguardo si era accigliato profondamente, mentre tendeva l’orecchio per afferrare qualsiasi rumore e annusava l’aria in direzione del Sentiero Nascosto.
Aurora guardò Iris con sguardo interrogativo, ma quando si girò di nuovo verso Elsbet fece solo in tempo a scorgere la coda di un grande lupo nero che, a grandi balzi, spariva nel folto del bosco.
Dalla bassa valle abitata, due uomini in giaccone di pelle salivano a piedi lungo la strada sterrata. Dietro la schiena portavano due grandi fucili tirati a lucido e tutto l’occorrente per scuoiare le loro prede.
“Certo che è proprio una bella serata per la caccia. L’aria è limpida e la visuale è nitida. L’ho sempre detto che colpire gli animali al buio, quando meno se l’aspettano, è la cosa migliore, così risparmiamo anche la fatica di doverli seguire!”
“Ben detto amico mio, vedrai che non torneremo a mani vuote. Oggi al bar del villaggio ho sentito dire che nella pineta vicino al Lago Verde c’è una bella colonia di cervi, e che le femmine sono in calore… Se siamo fortunati non si accorgeranno nemmeno della nostra presenza.”
“Una bella cerva in calore me la porterei a casa volentieri”, rise volgarmente il primo, “anche se al momento preferirei la biondina che serve ai tavoli della vecchia trattoria… l’hai notata? Tutta gentile e carina, con quel faccino pulito e sorridente… secondo me è una bella verginella e non ha ancora assaggiato i piaceri che solo dei veri uomini come noi potrebbero dare ad una donna…”, l’uomo gonfiò il petto, tronfio di sé stesso, mentre avvertiva fra le gambe una debole eccitazione.
“Certo che l’ho notata”, rise con una smorfia smaniosa il secondo, “vuoi che non abbia visto come si muove sinuosa fra i tavoli, mentre fa il suo lavoro e ci serve da bere? Secondo me lo vuole, solo che non ha il coraggio di chiederlo… e io glielo darei proprio volentieri. Ti dico la verità, me la scoperei sul bancone… Anche se non lo danno a vedere, a quelle come lei piace essere prese così, con violenza… godono come delle capre!”
I due uomini risero sguaiatamente, mentre, entrambi visibilmente eccitati, presero a salire lungo il Sentiero Nascosto, che conduceva al Lago Verde e alle Radure Alte.
Nessuno dei due aveva notato i due grandi occhi gialli che, tra le fronde basse della pineta che costeggiava la stradina, li osservavano immobili.
“A proposito di femmine… ho sentito dire che da queste parti, nessuno sa dove esattamente, ogni tanto se ne veda qualcuna passeggiare di notte, quando c’è la luna. Chissà che non ci capiti di incontrarne un paio per concludere la serata in bellezza”.
“Tutte sole nel bosco, di notte? E non hanno paura del lupo cattivo?”, ammiccò il primo uomo, “Potrebbero solo essere felici e grate di incontrare dei maschi prestanti come noi… E poi quelle un po’ selvatiche sono le mie preferite, hanno sempre bisogno di imparare le buone maniere… e io gliele insegnerei volentieri, vedi come urlerebbero di gio…”. L’uomo non riuscì a finire la frase, il fiato gli morì in gola. L’ultima cosa che era riuscito a vedere erano gli occhi gialli e le enormi fauci spalancate di un grosso lupo nero.
Il secondo uomo, in preda al terrore, cercò di imbracciare il fucile, ma un tremore violento gli fece scivolare l’arma dalle mani, e in meno di un istante il lupo gli fu addosso. Le zanne appuntite si richiusero sulla sua gola e un fiotto di sangue caldo e denso sprizzò dalla giugulare recisa di netto, mentre lui soffocava gorgogliando nel suo stesso sangue con gli occhi sbarrati e increduli.
Il lupo mollò la presa e col muso spinse giù dal sentiero i due corpi agonizzanti, che si schiantarono più volte sulle rocce sottostanti, fino a rotolare sul fondo di una conca sterile e deserta.
Sul versante opposto della montagna, due enormi gipeti avevano osservato la scena con crescente interesse. La femmina si sporse dal nido, per individuare dove fossero caduti i due corpi inermi, e dispiegando le grandi ali si gettò sulle prede, subito seguita dal maschio. Nel loro volo solenne, i due rapaci si voltarono per un attimo verso il lupo, che li osservava dal margine del sentiero, e chinando il capo gli mostrarono riconoscenza. Tutta quella carne e quelle ossa fresche avrebbero sfamato loro, i piccoli nel nido, e altri rapaci della valle circostante, e dei due uomini non sarebbe rimasta alcuna traccia.
Il sole era calato oltre Monte Antico, e Aurora guardava con insistenza verso il Sentiero Nascosto, nel folto del bosco. Al crepuscolo scorse in lontananza un’ombra chiara, che, illuminata dagli ultimi riverberi di luce, camminava con passo sicuro ed elegante verso la Casa delle Donne. Subito intuì la figura di Elsbet, ma non appena la donna fu abbastanza vicina, vide che era tutta sporca di sangue. Il viso, la bocca, i seni e le braccia erano macchiati di rosso, e se in una circostanza diversa la fanciulla avrebbe provato paura e repulsione di fronte a una visione simile, in quel momento riconobbe soltanto la Donna Dipinta di Rosso che le veniva incontro, una cacciatrice selvaggia avvolta da un'aura potente che per quanto fosse inquietante e terribile, era profondamente armoniosa, naturale, forse addirittura divina.
Iris si avvicinò ad Aurora, che attendeva sulla porta della Casa, e quando Elsbet le raggiunse, la guardò con amore. “Siamo al sicuro?”
“Adesso sì.”
“E tu stai bene?”
Elsbet sorrise, radiosa come sempre.
“Mai stata meglio.”
Testo di Viola di Nebbia. Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso scritto dell’autrice.
Catrina si sollevò dall’erba, stiracchiandosi come una gattina con provocante e giocosa sensualità.
“Hai ragione…” sorrise maliziosa, “ho proprio voglia di sdraiarmi davanti al caminetto e di farmi accarezzare la pelle nuda dal languido calore delle fiamme… a volte riesce ad insinuarsi in posti davvero impensabili…”. Guardò intensamente Aurora e subito scoppiò a ridere davanti allo sguardo un po’ imbarazzato della fanciulla, che percependo l’intensa carica erotica di quella donna un po’ sfacciata, aveva sentito un’ondata di calore salire dalle sue parti intime, ed era visibilmente arrossita.
Catrina le passò accanto accarezzandole i capelli, e si diresse ancheggiando verso la porta della Casa delle Donne.
Iris riuscì a stento a trattenere il riso, e visto che voleva evitare di mettere ancora più in imbarazzo la timida Aurora, sorrise e, con fare sconsolato, scosse la testa. “Non farci caso… lei… è fatta così.” Poi si alzò e porse la mano ad Aurora, che l’afferrò e si alzò a sua volta.
I bassi raggi di sole avevano avvolto tutta la radura verde, e i botton d’oro sembravano brillare come piccole lampade fatate, pronte ad accogliere sogni e desideri notturni, e a restituirli alle prime luci del mattino.
Mentre le due ragazze si avvicinavano alla Casa, la bella Elsbet le raggiunse. I suoi capelli neri si agitavano nella brezza fresca e su un braccio reggeva un cesto pieno di bacche ed erbe raccolte nel bosco.
“Vuoi assaggiare?”, chiese ad Aurora, “sono i doni del bosco, e probabilmente non hai mai mangiato frutti così dolci!”. Sorrise, e la fanciulla vide riflettersi in quel caldo sorriso tutto l’amore e la luminosità del sole.
Mentre le tre donne, parlando amabilmente, stavano per rientrare, d’un tratto Elsbet si fermò e con uno scatto improvviso si voltò indietro. Il suo sguardo si era accigliato profondamente, mentre tendeva l’orecchio per afferrare qualsiasi rumore e annusava l’aria in direzione del Sentiero Nascosto.
Aurora guardò Iris con sguardo interrogativo, ma quando si girò di nuovo verso Elsbet fece solo in tempo a scorgere la coda di un grande lupo nero che, a grandi balzi, spariva nel folto del bosco.
Dalla bassa valle abitata, due uomini in giaccone di pelle salivano a piedi lungo la strada sterrata. Dietro la schiena portavano due grandi fucili tirati a lucido e tutto l’occorrente per scuoiare le loro prede.
“Certo che è proprio una bella serata per la caccia. L’aria è limpida e la visuale è nitida. L’ho sempre detto che colpire gli animali al buio, quando meno se l’aspettano, è la cosa migliore, così risparmiamo anche la fatica di doverli seguire!”
“Ben detto amico mio, vedrai che non torneremo a mani vuote. Oggi al bar del villaggio ho sentito dire che nella pineta vicino al Lago Verde c’è una bella colonia di cervi, e che le femmine sono in calore… Se siamo fortunati non si accorgeranno nemmeno della nostra presenza.”
“Una bella cerva in calore me la porterei a casa volentieri”, rise volgarmente il primo, “anche se al momento preferirei la biondina che serve ai tavoli della vecchia trattoria… l’hai notata? Tutta gentile e carina, con quel faccino pulito e sorridente… secondo me è una bella verginella e non ha ancora assaggiato i piaceri che solo dei veri uomini come noi potrebbero dare ad una donna…”, l’uomo gonfiò il petto, tronfio di sé stesso, mentre avvertiva fra le gambe una debole eccitazione.
“Certo che l’ho notata”, rise con una smorfia smaniosa il secondo, “vuoi che non abbia visto come si muove sinuosa fra i tavoli, mentre fa il suo lavoro e ci serve da bere? Secondo me lo vuole, solo che non ha il coraggio di chiederlo… e io glielo darei proprio volentieri. Ti dico la verità, me la scoperei sul bancone… Anche se non lo danno a vedere, a quelle come lei piace essere prese così, con violenza… godono come delle capre!”
I due uomini risero sguaiatamente, mentre, entrambi visibilmente eccitati, presero a salire lungo il Sentiero Nascosto, che conduceva al Lago Verde e alle Radure Alte.
Nessuno dei due aveva notato i due grandi occhi gialli che, tra le fronde basse della pineta che costeggiava la stradina, li osservavano immobili.
“A proposito di femmine… ho sentito dire che da queste parti, nessuno sa dove esattamente, ogni tanto se ne veda qualcuna passeggiare di notte, quando c’è la luna. Chissà che non ci capiti di incontrarne un paio per concludere la serata in bellezza”.
“Tutte sole nel bosco, di notte? E non hanno paura del lupo cattivo?”, ammiccò il primo uomo, “Potrebbero solo essere felici e grate di incontrare dei maschi prestanti come noi… E poi quelle un po’ selvatiche sono le mie preferite, hanno sempre bisogno di imparare le buone maniere… e io gliele insegnerei volentieri, vedi come urlerebbero di gio…”. L’uomo non riuscì a finire la frase, il fiato gli morì in gola. L’ultima cosa che era riuscito a vedere erano gli occhi gialli e le enormi fauci spalancate di un grosso lupo nero.
Il secondo uomo, in preda al terrore, cercò di imbracciare il fucile, ma un tremore violento gli fece scivolare l’arma dalle mani, e in meno di un istante il lupo gli fu addosso. Le zanne appuntite si richiusero sulla sua gola e un fiotto di sangue caldo e denso sprizzò dalla giugulare recisa di netto, mentre lui soffocava gorgogliando nel suo stesso sangue con gli occhi sbarrati e increduli.
Il lupo mollò la presa e col muso spinse giù dal sentiero i due corpi agonizzanti, che si schiantarono più volte sulle rocce sottostanti, fino a rotolare sul fondo di una conca sterile e deserta.
Sul versante opposto della montagna, due enormi gipeti avevano osservato la scena con crescente interesse. La femmina si sporse dal nido, per individuare dove fossero caduti i due corpi inermi, e dispiegando le grandi ali si gettò sulle prede, subito seguita dal maschio. Nel loro volo solenne, i due rapaci si voltarono per un attimo verso il lupo, che li osservava dal margine del sentiero, e chinando il capo gli mostrarono riconoscenza. Tutta quella carne e quelle ossa fresche avrebbero sfamato loro, i piccoli nel nido, e altri rapaci della valle circostante, e dei due uomini non sarebbe rimasta alcuna traccia.
Il sole era calato oltre Monte Antico, e Aurora guardava con insistenza verso il Sentiero Nascosto, nel folto del bosco. Al crepuscolo scorse in lontananza un’ombra chiara, che, illuminata dagli ultimi riverberi di luce, camminava con passo sicuro ed elegante verso la Casa delle Donne. Subito intuì la figura di Elsbet, ma non appena la donna fu abbastanza vicina, vide che era tutta sporca di sangue. Il viso, la bocca, i seni e le braccia erano macchiati di rosso, e se in una circostanza diversa la fanciulla avrebbe provato paura e repulsione di fronte a una visione simile, in quel momento riconobbe soltanto la Donna Dipinta di Rosso che le veniva incontro, una cacciatrice selvaggia avvolta da un'aura potente che per quanto fosse inquietante e terribile, era profondamente armoniosa, naturale, forse addirittura divina.
Iris si avvicinò ad Aurora, che attendeva sulla porta della Casa, e quando Elsbet le raggiunse, la guardò con amore. “Siamo al sicuro?”
“Adesso sì.”
“E tu stai bene?”
Elsbet sorrise, radiosa come sempre.
“Mai stata meglio.”
Testo di Viola di Nebbia. Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso scritto dell’autrice.
Iscriviti a:
Post (Atom)